Sky si ritira, frequenze tv a rischio caos
Sky si ritira, frequenze tv a rischio caos
LA SOCIETÀ DEL GRUPPO DI RUPERT MURDOCH LASCIA LA GARA CHE AGGIUDICHERÀ NUOVI SPAZI NEL DIGITALE TERRESTRE
Decisione per i "tempi poco chiari" e "regole discutibili che non creano concorrenza" L'ad Zappia: «Scelta difficile e onerosa Ma ora si apra un dibattito serio» Restano in nove a contendersi gratis i sei multiplex che valgono due miliardi.
Il «concorso di bellezza» che promette alle miss ricche frequenze televisive a costo zero, perde la prima concorrente. A sbattere la porta è Sky Italia, secondo cui «tempi poco chiari e regole discutibili» non contribuiscono a favorire maggiore concorrenza e sviluppo nel settore. Morale: addio «beauty contest». Un gesto clamoroso, quello del broadcaster che fa capo al gruppo di Rupert Murdoch, che riapre il dibattito sulla gara per il digitale terrestre che porta l'impronta forte del passato governo e che riserva - questa l'accusa - le frequenze migliori a chi già domina il mercato, ossia Rai e Mediaset, per giunta senza che lo Stato possa attendersi un solo euro. La decisione di Sky è stata comunicata ieri al ministero dello Sviluppo economico - dove da pochi giorni s'è insediato il ministro Corrado Passera - e alla Commissione europea. A giustificare il passo indietro dalla gara per sei multiplex suddivisi in tre lotti è stata «la lunghezza dei tempi ad oggi ancora indeterminati» del concorso stesso che sono «diventati del tutto incompatibili con l'esigenza di pianificare con certezza gli investimenti che sarebbero necessari nel caso di un'ipotetica assegnazione». È, questo, solo uno degli aspetti che Sky contesta, a cominciare da «un bando che contiene elementi discutibili legati all'adozione di un disciplinare di gara con regole che oggettivamente favoriscono operatori già attivi sul mercato», come Mediaset. Che insieme a Rai e Telecom Italia Media compete all'interno del gruppo «B», dove sono le frequenze ritenute più pregiate. Insomma tali tempi «poco chiari» e tali regole «discutibili» sono «incompatibili», secondo Sky, «con un mercato televisivo e uno scenario competitivo che è invece in rapida e costante evoluzione». É la critica radicale a un «beauty contest» che «non solo non interpreta più le reali esigenze di sviluppo e di apertura alla concorrenza di questo mercato, ma rischia concretamente di essere un elemento negativo per lo stesso». Dunque, commenta l'amministratore delegato di Sky Italia, Andrea Zappia, «ci auguriamo che questa nostra decisione, per quanto difficile e onerosa, possa dare un un serio contributo ad avviare un dibattito aperto e costruttivo sul futuro della televisione nel nostro Paese» anche alla luce delle nuove tecnologie che non limitano al digitale terrestre lo sviluppo del settore, ma dove trovano spazio dsl e fibra. La politica entra subito in campo. Da sinistra, con Idv e Pd, e dai centristi, con Udc e Fli, piovono appelli per rivedere le contestate regole. E così la gara nata in seguito a una procedura di infrazione aperta nel 2007 dall'Unione Europea per le discriminazioni della Legge Gasparri nell'assegnazione delle frequenze, scricchiola. Quantomeno piomba in un clima di ancor maggiore incertezza. Dopo 4 anni passati tra carte bollate - con passaggi al Consiglio di Stato o alla stessa Commissione Ue - i 9 operatori superstiti, che il 13 ottobre sono stati ammessi alla gara, hanno davanti a sé numerose incognite. Pesano i ricorsi fatti alla giustizia amministrativa (oltre a Sky, si sono rivolti al Tar pure Telecom Italia Media, la Rai, Tivuitalia), «che potrebbero moltiplicarsi una volta annunciate le assegnazioni delle frequenze», notano da Sky. In tempi di vacche magre, cresce lo schieramento che vorrebbe far pagare tali frequenze, già valutate oltre due miliardi. Non sono pochi quelli che ricordano l'esito dell'asta (quella sì, a rilanci con moneta sonante) per le frequenze di telefonia mobile. Il governo aveva previsto nella legge di stabilità un incasso da 2,4 miliardi, ne sono arrivati 3,9. Come rifiutare?